venerdì 31 dicembre 2010

COSA C'E' DI PIU' MERAVIGLIOSO!


 Passare un’intera giornata con i miei ragazzi non ha prezzo. E così ieri sera, dopo una giocata a carte, Carmelo, come d’incanto, all’improvviso, d’impulso, ha detto: “scampagnata domani a casa di Peppe”. Giuseppe a casa sua m’invita sempre e così ho accettato. Ognuno ha fatto la sua parte, io ho cucinato la pasta che ho chiamato “pasta buttata mattoni mattoni”, perché era cucinata senza soffritto e mangiata senza formaggio, qualcun altro ha arrostito la carne e qualcun altro ancora ha lavato i piatti. La parte più spettacolare è avvenuta dopo, quando i ragazzi sono andati a giocare a pallone in un bellissimo campetto curato con prato inglese. Volevo restare a guardare lo spettacolo che davano tra le entrate acrobatiche e i falli, tra le risate che si facevano e che mi facevano fare. Avevo proprio deciso di osservarli restando a pensare a come sono cresciuti e come sono cambiati dalla prima volta che li ho conosciuti. È proprio così, li osservi! C’è una cosa che mi rattrista il cuore: non puoi osservare una cosa fino all’infinito. Allora sei costretto a prendere una decisione: o diventi protagonista anche tu, o rimani spettatore, solo che da spettatore non sai se, un giorno loro, si ricorderanno di te, di come cucinavi per loro, o educavi. Così ho deciso di buttarmi nella mischia e di giocare a pallone con loro. Devo dire che l’ho spuntata bene tra qualche doloretto alle ginocchia e qualche gollonzo. E si! Ne è passato di tempo da quando avevano dieci anni e ormai il tempo ne segna sedici. Cosa c’è di più meraviglioso di passare una giornata con propri ragazzi, a trentasei anni, dopo che la vita ti ha dato uno schiaffo morale e che sai che non potrai mai più tornare indietro, cosa c’è di più meraviglioso! 





     

mercoledì 15 dicembre 2010

Chi è il MEGALOMANE?

Megalomania deriva da due parole greche: megas (grande) e mania (ossessione) ed è uno stato psicopatologico caratterizzato dalle fantasie di ricchezza, di fama e di onnipotenza. Il megalomane non teme di essere deluso da qualunque delle sue mire: ne ha in serbo sempre delle altre. La megalomania è sempre accompagnata quindi dal senso di onnipotenza.  L’uomo di potere si afferma strumentalizzando tutto quello che incontra. Egli non considera nemmeno i suoi beni per quello che sono; al contrario, tende a trasformarli a suo piacimento in strumenti di autoaffermazione, in armi di offesa da brandire senza pietà. C’è qualcosa di religioso in questo distacco, quasi una parvenza di ascesi; ma in realtà è una forma di cinismo spregiudicato. Il megalomane è una persona che opera senza guardare in faccia nessuno, tradendo amicizie, tessendo e disfacendo alleanze in modo strumentale e crede che il suo successo dipenda dal fatto che sia stato furbo, capace ed efficiente. Nella sua incarnazione economica il megalomane agisce attraverso la pervasività delle sue idee, non ha un programma politico, né un partito nazionale, niente chiese, niente credo, preti o sacre scritture. La civiltà che ne nasce è tenuta insieme non dalle idee di bellezza, verità, giustizia, pace e convivenza dei popoli, ma dalle idee di commercio, proprietà, profitto, denaro, che in modo inconscio governano la nostra vita. L’uomo che adora il proprio potere non tollera che qualcun altro possa essere alla sua altezza.  Nel capitolo 13 dell'Apocalisse di Giovanni si parla di una "bestia" che sale dal mare e che rappresenta il "male" della terra. Poi parla di una seconda "bestia" che sale dalla terra stessa e che costringe tutte le genti ad adorare la prima bestia. Che centra tutto questo con il megalomane? bhe, ai tempi dell'Apocalisse c'era Giulio Cesare come megalomane, oggi, in Italia esiste ma avete capito chi? Avete capito chi è la "prima" bestia e chi è la "seconda" bestia?





domenica 2 maggio 2010

DIFENDIAMO LA NOSTARA ACQUA

Sui beni pubblici devono intervenire associazioni NO-PROFIT, il bene pubblico non si deve privatizzare. Parlando dell’acqua pubblica, ogni volta che un comune la privatizza, di colpo, aumentano le bollette. L'acqua, così come l'aria, è un bene UNIVERSALE che non si può negare a nessuno. Non è possibile che oltre a morire di fame ci deve essere gente che muore di sete. Oggi un mio amico mi ha mandato una mail che mi ha dato l’idea di questo post. Così vi incollo una parte della mail e ancora grazie a Fabio che ci tiene informati al meglio possibile su quello che succede nella nostra terrà:


“Grazie all'interesse di alcune organizzazione che hanno organizzato una petizione di firme , l'opinione pubblica ha potuto condizionare la politica .
Tuttavia su un numero di 78 politici ....25 hanno lavorato contro di noi ma a favore di qualcun altro.”

" ACQUA PUBBLICA. Con 53 voti a favore e 25 contrari, l'Assemblea regionale siciliana ha anche approvato, a scrutinio segreto, l'articolo 50 della finanziaria regionale, che prevede il ritorno alla gestione pubblica dell'acqua in Sicilia.” “La norma avvia il ritorno alla gestione pubblica delle risorse idriche, che in alcuni comuni siciliani vengono gestite da società e consorzi privati che in alcuni casi, come nell'agrigentino, non sono riusciti a risolvere i problemi di approvvigionamento. Ad Agrigento l'acqua viene erogata a singhiozzo, in alcune zone i rubinetti rimangono a secco anche una settimana. " Dalla SICILIA WEB.

L'acqua deve essere pubblica e al minor prezzo possibile.
A l'idiozia del capitalismo non c'è mai fine ...pensate che in Bolivia una corporation americana aveva acquisito il diritto su tutta l' acqua del paese ....persino quella piovana .

venerdì 12 marzo 2010

C'ERA UNA VOLTA L' ESSERE

Bellissima riflessione del professore Salvatore Vaccarella sull'Essere. L'altra sera alla scuola socio politica in occassione del tema Antropologico "l' Uomo nella bibbia", tema affrontato dal teologo Pino Ruggeri, il prof. Vaccarella ha introdotto il tema da un punto di vista filosofico partendo proprio dall'Essere. Siccome mi ha lasciato di stucco ve lo voglio riproporre a sua gentile concessione nel mio blog:

"C’era una volta l’essere eterno, immutabile, identico a sé stesso. Criterio di verità, criterio del bene e del male, cosmos (ordine), nomos (legge). Ma ad un certo punto della storia, apparentemente senza storia e intrisa di ottimismo, nasce il soggetto (la svolta antropologica). Nonostante sia il dubbio e la finitudine il grembo da cui nasce, il soggetto si attribuisce a poco a poco, le caratteristiche dell’essere: l’autopoiesi, origine del vero e del falso, criterio del bene e del male. È una storia all’insegna dell’autoreferenzialità. Ma il soggetto, nonostante la sua hybris (tracotanza), finisce per scontrarsi con l’ineffabilità dell’essere.

La storia si mette male e, come nei romanzi americani, ha due uscite, a scelta del lettore:
- o il soggetto/filosofo si adatta a fare il pastore dell’essere (una sorta di custode che ricorre al linguaggio della poesia);
- o nel peggiore dei casi, non gli rimane che intraprendere un Itinerarium mentis in nihilum.
Le due soluzioni si muovono nel cono d’ombra del pensiero tragico, nel cui seno nasce la filosofia.

C’è un'altra storia:
l’Essere non è impersonale, è una persona, e il soggetto, nello stesso giorno in cui nasce (così dicono gli esperti), mangia i frutti di uno strano albero per conoscere la verità e il criterio del bene e del male. Sembra ripetersi la stessa storia, ma l’essere persona farà la differenza. Egli è un grande pedagogo, esperto di umanità. All’inizio punisce il soggetto (persona) ma la Sua bontà e la Sua pazienza, lo inducono ad abbassarsi fino alla condizione di servo. Egli prende su di sé il limite, la finitudine del soggetto, per elevarlo.

Per i rapsodi e gli aedi della prima storia, la seconda è caratterizzata dalla stoltezza.
Ma chi crede al secondo racconto, spera in virtù della sottomissione di chi si è fatto servo per Amore con tanta pazienza (hyponomè).
Spera nell’ Amore che salva."                                   
                                                                                              Salvatore Vaccarella
                                                                                                                  

mercoledì 17 febbraio 2010

Lettera del capo indiano Seattle al presidente Usa Franklin Pierce

Un amico di nome Roby Bulgaro che  viene sempre a trovarmi nel blog, mi ha dato l'ispirazione per incollare questa splendida lettera del capo Seattle al presidente degli Stati Uniti. Ho appena finito di vedere AVATAR e non è che si discosta tanto da questa lettera, in ogni caso consiglio a tutti di andare a vedere questo film. Questo post diciamo che è una continuazione del post precedente "sul fondo del Sand Creek":

Nel 1854 il "Grande Bianco" di Washington (il presidente degli Stati Uniti) si offri' di acquistare una parte del territorio indiano e promise di istituirvi una "riserva" per il popolo indiano. Ecco la risposta del "capo Seattle", considerata ancora oggi la piu' bella, la piu' profonda dichiarazione mai fatta sull'ambiente.

Ecco la risposta del capo indiano Seattle:
"Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L'idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell'aria, lo scintillio dell'acqua sotto il sole come e' che voi potete acquistarli? Ogni parco di questa terra e' sacro per il mio popolo. Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ogni ronzio di insetti e' sacro nel ricordo e nell'esperienza del mio popolo. La linfa che cola negli alberi porta con se' il ricordo dell'uomo rosso.

Noi siamo una parte della terra, e la terra fa parte di noi. I fiori profumati sono i nostri fratelli, il cavallo, la grande aquila sono i nostri fratelli, la cresta rocciosa, il verde dei prati, il calore dei pony e l'uomo appartengono tutti alla stessa famiglia. Quest'acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non e' solamente acqua, per noi e' qualcosa di immensamente significativo: e' il sangue dei nostri padri.

I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete. I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nostri figli. Se vi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordarvi, e insegnarlo ai vostri figli, che i fiumi sono i nostri e i vostri fratelli e dovrete dimostrare per fiumi lo stesso affetto che dimostrerete ad un fratello. Sappiamo che l'uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra e' uguale all'altra, perche' e' come uno straniero che arriva di notte e alloggia nel posto che piu' gli conviene. La terra non e' suo fratello, anzi e' suo nemico e quando l'ha conquistata va oltre, piu' lontano.

Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere come si fa con i montoni o con le pietre preziose. Il suo appetito divorera' tutta la terra e a lui non restera' che il deserto.

Non esiste un posto accessibile nelle citta' dell'uomo bianco. Non esiste un posto per vedere le foglie e i fiori sbocciare in primavera, o ascoltare il fruscio delle ali di un insetto. Ma forse e' perche' io sono un selvaggio e non posso capire. Il baccano sembra insultare le orecchie. E quale interesse puo' avere l'uomo a vivere senza ascoltare il rumore delle capre che succhiano l'erba o il chiacchierio delle rane, la notte, attorno ad uno stagno?

Io sono un uomo rosso e non capisco. L'indiano preferisce il dolce suono del vento che slanciandosi come una freccia accarezza la faccia dello stagno, e preferisce l'odore del vento bagnato dalla pioggia mattutina, o profumato dal pino pieno di pigne. L'aria e' preziosa per l'uomo rosso, giacche' tutte le cose respirano con la stessa aria: le bestie, gli alberi, gli uomini tutti respirano la stesa aria. L'uomo bianco non sembra far caso all'aria che respira. Come un uomo che impiega parecchi giorni a morire resta insensibile alle punture. Ma se noi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordare che l'aria per noi e' preziosa, che l'aria divide il suo spirito con tutti quelli che fa vivere.

Il vento che ha dato il primo alito al Nostro Grande Padre e' lo stesso che ha raccolto il suo ultimo respiro. E se noi vi vendiamo le nostre terre voi dovrete guardarle in modo diverso, tenerle per sacre e considerarle un posto in cui anche l'uomo bianco possa andare a gustare il vento reso dolce dai fiori del prato. Considereremo l'offerta di acquistare le nostre terre. Ma se decidiamo di accettare la proposta io porro' una condizione: l'uomo bianco dovra' rispettare le bestie che vivono su questa terra come se fossero suoi fratelli. Che cos'e' l'uomo senza le bestie?

Se tutte le bestie sparissero, l'uomo morirebbe di una grande solitudine nello spirito. Poiche' cio' che accade alle bestie prima o poi accade anche all' uomo. Tutte le cose sono legate tra loro. Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che essi calpestano e' fatto dalle ceneri dei nostri padri. Affinche' i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa e' arricchita dalle vite della nostra gente. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri: la terra e' la madre di tutti noi.

Tutto cio' che di buono arriva dalla terra arriva anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi. Noi almeno sappiamo questo: la terra non appartiene all'uomo, bensi' e' l'uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro. Tutto cio' che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non e' l'uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne e' soltanto un filo. Tutto cio' che egli fa alla trama lo fa a se stesso.

C'e' una cosa che noi sappiamo e che forse l'uomo bianco scoprira' presto: il nostro Dio e' lo stesso vostro Dio. Voi forse pensate che adesso lo possedete come volete possedere le nostre terre ma non lo potete. Egli e' il Dio dell'uomo e la sua pieta' e' uguale per tutti: tanto per l'uomo bianco quanto per l'uomo rosso. Questa terra per lui e' preziosa. Dov'e' finito il bosco? E' scomparso. Dov'e' finita l'aquila? E' scomparsa. E' la fine della vita e l'inizio della sopravvivenza".
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lunedì 8 febbraio 2010

Sul fondo del Sand Creek

SAND CREEK è una storia che sconoscevo fino a ieri. Così dopo avere ascoltato più volte la splendida canzone di De Andre, "Fiume Sand Creek",  ho voluto fare un approfondimento.

La battaglia (o meglio massacro) di Sand Creek è un episodio abbastanza noto della storia americana, ambientato in Colorado nel 1864, durante la guerra di secessione. All’epoca, i Cheyenne meridionali stanziati nella zona erano in rivolta, poiché la riserva del Sand Creek in cui erano stati confinati da tre anni non era in grado di sostentare la popolazione, in quanto troppo lontana dai percorsi delle mandrie di bisonti. Il campo Cheyenne si trovava in un'ansa a ferro di cavallo del Sand Creek a nord del letto di un altro torrente quasi secco. Vi erano quasi seicento indiani nell'ansa del torrente, due terzi dei quali donne e bambini. I capi dei Cheyenne erano Pentola Nera, Antilope Bianca, Copricapo di Guerra. Poco distante vi era il campo Arapaho di Mano Sinistra.

All'alba del 29 novembre 1864, il colonnello Chivington fece circondare l'accampamento, nonostante gli accordi presi e anche se nel mezzo del villaggio sventolava la bandiera americana, comandò l'attacco contro una popolazione inerme che quasi niente fece per reagire. Gli episodi sconvolgenti - come venne testimoniato dagli stessi indiani e da molti altri bianchi che parteciparono al massacro - non si contarono. I corpi di uomini, donne e bambini vennero orrendamente mutilati e oltraggiati.
 
Ascoltate la canzone che è bellissima,  o se volete fare un approfondimento cliccate qui



Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni
figlio d'un temporale
c'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek.

I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
e quella musica distante diventò sempre più forte
chiusi gli occhi per tre volte
mi ritrovai ancora lì
chiesi a mio nonno è solo un sogno
mio nonno disse sì
a volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek

Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
il lampo in un orecchio nell'altro il paradiso
le lacrime più piccole
le lacrime più grosse
quando l'albero della neve
fiorì di stelle rosse
ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek

Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
c'erano solo cani e fumo e tende capovolte
tirai una freccia in cielo
per farlo respirare
tirai una freccia al vento
per farlo sanguinare
la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek

Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni
figlio d'un temporale
ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek

Quanto tempo deve ancora passare per capire qual è il vero senso della vita! La storia si ripete sempre ma non ha mai insegnato nulla o non si vuole imparare da lei. La storia è l'unica protagonista della creazione dell'essere umano, l'unica che resta immobile e che fa sempre male quando la si ripercorre. Impariamo da lei.

sabato 6 febbraio 2010

Monsignor Crociata contro Berlusconi

Mariano Crociata: "Libertinaggio non è affare privato. Comportamenti gai e irresponsabili, gravi soprattutto quando coinvolgono minori "
Lo sfoggio di un "libertinaggio gaio e irresponsabile" a cui oggi si assiste, non deve far pensare che "non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati, soprattutto quando sono implicati minori": lo ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Mariano Crociata, in una omelia pronunciata a Le Ferriere di Latina in occasione di una celebrazione in memoria di Santa Maria Goretti. "Assistiamo lamenta il segretario della Cei ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere. "Secondo monsignor Crociata, con un riferimento che appare in tutta evidenza diretto alle polemiche degli ultimi mesi che hanno coinvolto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, "nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati; soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio. Dobbiamo interrogarci tutti sul danno causato e sulle conseguenze prodotte dall'aver tolto l'innocenza a intere nuove generazioni. E innocenza vuol dire diritto a entrare nella vita con la gradualità che la maturazione umana verso una vita buona richiede senza dover subire e conoscere anzitempo la malizia e la malvagità. Per questa via osserva il presule non c'è liberazione, come da qualcuno si va blaterando, ma solo schiavizzazione da cui diventa ancora più difficile emanciparsi. In proposito, mons. Crociata ha citato anche quanto detto di recente dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco:“Le responsabilità sono di ciascuno ma conosciamo l'influsso che la cultura diffusa, gli stili di vita, i comportamenti conclamati hanno sul modo di pensare e di agire di tutti, in particolare dei più giovani che hanno diritto di vedersi presentare ideali alti e nobili, come di vedere modelli di comportamento coerenti."

da Repubblica.it

giovedì 14 gennaio 2010

DEDICATO A ENRICO BERLINGUER

Un post scritto da un mio amico: Giorgio Gugliotta.

VOGLIAMO BERLINGUER

Il suo era un sorriso dolcissimo. La voce era cauta, ma ferma.
Le sue braccia dal palco avvolgevano le folle.
Come un grande timoniere, si esalta tra le onde.
Si lottava per un mondo migliore, più giusto, più uguale. Per uno Stato legale.
Si lottava dovunque e comunque, e neanche l’Unione Sovietica faceva paura.
Enrico Berlinguer non era solo un comunista: era soprattutto un comunista italiano.
Si lottava sempre. Si lottava per tutti. Fino alla morte.
E a San Giovanni piangevano in molti.
Tutti sotto un’unica grande bandiera.
Si vedeva il volto sudicio di un operaio che, appena finito il turno di lavoro, accorreva subito a dare l’ultimo saluto al grande comandante.
 Ma piangeva anche la signora impellicciata, incurante ormai del suo trucco rovinato dalle lacrime salate. Perché è morto il faro di tre generazioni. L’ultimo grande uomo ritratto nelle case del popolo. È morto il compagno Berlinguer.
E dopo? .......il nulla
Ma sono comunque felice, perché penso: …l’importante non è quello che trovi alla fine di una corsa; l’importante è quello che provi mentre corri.

P.S.  Oggi nessuna delle generazioni emergenti sa chi è  Enrico Berlinguer.